Analoga generosità muove il meritorio blog LiberInVersi di Massimo Orgiazzi fondato nel giugno 2005. Da allora ha ospitato, senza preclusioni di sorta, più di 70 poeti, in buona parte giovani. Da vedere inisieme alla sua nuova rivista-blog on line: L'attenzione.
28 lug 2007
Nacci e Orgiazzi: due volenterosi cacciatori.
Analoga generosità muove il meritorio blog LiberInVersi di Massimo Orgiazzi fondato nel giugno 2005. Da allora ha ospitato, senza preclusioni di sorta, più di 70 poeti, in buona parte giovani. Da vedere inisieme alla sua nuova rivista-blog on line: L'attenzione.
Antologia e critica
Si vedano poi le antologie Nodo sottile. Antologia di Poesia Under35, a cura di V. Biagini e A. Sirotti (due volumi per Cadmo nel 2001-02, il terzo per Crocetti nel 2003); nonché le antologie Parco Poesia dell’omonimo festival riminese (l'e-book lo trovate qui ma si paga ). Gratis invece potete scaricare Ma il cielo è sempre più blu. Album della nuova poesia italiana, a cura di Aldo Nove e Lello Voce, 2002 e l’importante Lavori di scavo. Antologia di poeti nati negli Anni Settanta, a cura di Giuliano Ladolfi. Buona ricerca.
24 lug 2007
Primi Tempi dell'Hangar
Mappa e graffito: Nove, Sanguineti, Erba, il sociale e il non.
23 lug 2007
Censura di stato: Frigidaire & C.
sulla rivista "LucidaMente", II (6) EXTRA, 15 luglio 2007, supplemento al n. 19.
Arance di sicilia: provincia e capitale
Camilleri ha svecchiato la letteratura siciliana tenendo a balia nidiate di nuovi autori che adesso lo scimmiottano, ed ha risvegliato il dialetto (benché quello solo agrigentino) portandolo nella bocca anche di lettori leghisti, ma ciò avviene perchè l'archetipo del buen retiro che avvenga in Sicilia o nella Fargo dei fratelli Choen, è un ememento dall'appeal universale. In questi ultimi dieci anni il "capitale simbolico" della sicilianità è dunque salito ancora, tanto che oggi si direbbe che l'isola stia diventato un “genere letterario”, come le storie di vampiri (di sponda entrambi, Sicilia e vampiri, si trovano nel nuovo romanzo di Flavio Santi). Per scrivere questo genere ovviamente non occorre essere siciliani più di quanto occorra essere vampiri per scrivere Dracula e lo dimostra anche il Nuovomondo del non siciliano Emanuele Crialese, vero e proprio esempio di efficace ricostruzione artificiale di una realtà di appartenenza "emotiva".
21 lug 2007
Brevi consigli di lettura per l’estate: Varvello, Aloia, Santi, Arrabal, Fiori, Buffoni
17 lug 2007
Il clic di mozzi e la civiltà della scrittura verticale continua
Fumetto e letteratura, per uno sfondamento delle barriere. Eco e Zanzotto.
Esistono provocazioni inutili e fuori tempo massimo ― e chi ha ascoltato Accordo di Franco Mussida o ha sfogliato la Coazione a contare di Gian Pio Torricelli (Marcatre, 1968) sa cosa voglio dire ―; non è dunque una provocazione ma nemmeno acqua calda, dire che “le barriere tra letteratura e fumetto sono crollate”. Anche questo crollo infatti è frutto di una finta dialettica storica perché la distinzione tra letteratura e “paraletteratura” di fatto non ha mai convinto gli Oreste Del Buono (1923-2003) ed i tanti anonimi collezionisti, onnivori, come il matematico valdostano Demetrio Mafrica i cui volumi oggi vengono ad arricchire la biblioteca della Fondazione Sapegno. Un ulteriore passo in questa direzione è segnato dall’anfibilogia delle traiettorie di scrittori passati, per amore o per forza-denaro, dalla fiction al fumetto (il caso più noto: Tiziano Sclavi) o al contrario dei tanti autori di fiction il cui successo in termini di copie vendute è stato determinante per passare al fumetto; e parlo di Evangelisti, Pinketts, Carlotto, Danzeri, Cacucci, Lucarelli, Wu Ming 2. In queste opposte traiettorie verso la letteratura disegnata, determinate da opposte ragioni di mercato, “l’insuccesso” di Sclavi e “il successo” di Lucarelli & company, si consuma, in ciò che l’orizzonte d’attesa del mercato certifica: uno slittamento percettibile dei generi. Le generazioni passano e se nel superuomo di massa le sue analisi semiologiche del fumetto potevano parere all’avanguardia, La "misteriosa fiamma" pare veramente retrò e non nel modo previsto dall’autore, credo. Lì dal fumetto si è appreso “l’artificiale senza il sogno”. Un artificiale che, come un chiodo a espansione in un muro, va a saturare un intera memoria d’archivi prevedibili, morti.
Un verso di Zanzotto basti invece ad esemplificare come far saltare le barriere dell’espressione. viene da Gli sguardi i fatti e senhal:
- Vivo sarò la tua peste morto sarò la tua morte
- Il sempre è accoltellato è in ira
È in un fumetto in ik Ci sei?
Non so chi ci sia ancora ma da un testo così complesso ci sarebbe troppo da dire. È già l’ambiguità del titolo la dice lunga. Fino al Petrarca il senhal era nome fittizio con cui i rimatori provenzali e per imitazione quelli italiani designavano la donna amata, ma Senhal è un termine che nella storia ha assunto anche diversi significati: uno dei più emblematici, con una valenza apertamente negativa, è quello che designa un medaglione o una moneta imposti al bambino sorpreso a parlare occitano a scuola. Una specie di “scarlet letter”. Il senhal veniva messo al collo o doveva essere tenuto in mano, o addirittura fatto stringere tra i denti ed il malcapitato poteva liberarsene solo sorprendendo e denunciando un altro bambino che parlava occitano, al quale veniva passato il senhal. Questo atto discriminatorio è stato praticato per tutto l'Ottocento e fino ai primi anni di questo secolo nelle scuole della Francia Meridionale, con lo scopo di imporre la lingua francese e tali pratiche ovviamente sconfinarono anche nelle valli occitane del Piemonte. A Zanzotto la stigmate maudit di dire che “il sempre” è stato accoltellato, che è “in ira” ovvero è incazzato ma è anche nel momento in cui il lattante mette i denti; è nell’aurora di un esordio subito ripetuto e consunto, è nel delitto raffigurato nelle copertine di uno dei tanti fumetti alla Diabolik, Satanik, Cattivik etc...
L'ultimo Hernry Miller
«Nonostante tutti i sotterfugi e le menzogne, io credevo in lei. Io le credevo anche quando sapevo che mi stava mentendo. Qualunque cosa sbagliata, stupida, sleale facesse, riuscivo sempre a trovare una scusa […]; non riuscivo a dimenticare […]. Volevo vedere, e aspettavo con calma di vedere, che cosa lei si sarebbe ricordata di ricordare. Ma lei non era molto il tipo da ricordi o rievocazioni. Lei era sempre pronta ad aprire nuovi campi di esplorazione, mentre seppelliva il passato sotto cumuli di terra come si fa con una bara. Non c’era mai un domani. Era sempre ieri. E il giorno prima di ieri era un’altra storia. Mi riferisco alla sua vita con gli altri, la sua vita amorosa… In qualche modo tutta quella parte sembrava chiusa a chiave negli scantinati della sua memoria. Solo un candelotto di dinamite sarebbe riuscito ad aprirli. In fondo, era davvero importante, davvero necessario ripercorrere tutta quella storia?». Se, come disse Victor Hugo, “il bordello è il mattatoio dell’amore”, il piano bar è l’anticamera della sala da masturbazione. Ed, in anticamera, inchiodato al suo delizioso uccellino canoro, e poi insonne, nel suo appartamento, un Henry Miller ormai prossimo alla fine passò notti intere, acquerellando le sue angosce, ispirato dalla musica di Czerny e Busoni e dalle immagini di Blake e Bosch. Intrappolato, lui, nella gabbia del suo impossibile amare fuori tempo massimo una cantante giapponese dai tratti non propriamente rassicuranti ― figura di donna orientale che affianca la Michiyo Watanabe con cui Henry imparò il giapponese (tacitamente menzionata nel testo a p. 18) e Hoki Tokuda, che fu sua moglie. Nell’ultimo testo di Miller affiorano memorie da Hesse, Mann, Lawrence e trova posto persino una breve dislocazione del personaggio Moricand, protagonista di A Devil in Paradise (1961).
Pubblicato a Las Vegas all’inizio degli anni ’70, il testo è oggi disponibile per i lettori italiani grazie agli sforzi congiunti dell’intraprendete scout Martina Rinaldi e dell’agenzia letteraria di Elfriede Pexa, che in una libreria antiquaria di Philadelphia hanno rintracciato copia del manoscritto in un’edizione a tiratura limitata.
14 lug 2007
Paralipomeni di individuazione dell’Io
Gilbert Simondon ha polemizzato con il modo consueto di intendere il principium individuationis, e soprattutto con la sua riduzione a questione circoscritta, priva di vere conseguenze sull’ontologia generale. La riflessione di Simondon sulla “realtà preindividuale”, al pari di ogni movimento del pensiero che determini una situazione inedita, consente di leggere altrimenti certi autori del passato, ovvero crea i propri predecessori. Le tesi di Simondon recensite da Deleuze tentano dunque di mettere a fuoco un rapporto teoretico per decifrare il rapporto Comune-Singolare e, quindi, il modo di essere della moltitudine contemporanea. Delle obiezioni di Bernard Stiegle a proposito, diremo un'altra volta. Intanto, prepariamoci.
Belén Gopegui: una narratrice di razza.
Carlos Rodriguez: Lo que asesina al limpio
La obra de Carlos Rodríguez hay que ubicarla siempre en
el lugar más distante concebible con respecto a las tendencias escriturales de
su tiempo. Ajeno a las modas estéticas, Rodríguez conforma un universo textual
marcado por la constante tensión entre lo que el poeta ve del mundo y lo que
éste le devuelve a través de las formas más insólitas de la percepción.
Dopo la poesia di Liliane Wouters, una delle migliori poetesse del Belgio, un testo di uno dei migliori poeti della Repubblica Dominicana, prematuramente scomparso a New York: si tratta di Carlos Rodríguez, autore della raccolta El West End Bar y otros poemas y Volutas de invierno, inedita in Italia, che consiglio caldamente ecco de Carlos Rodríguez, la Dirección General de la Feria del Libro da un importante paso hacia la difusión de una de las voces más singulares de la poesía dominicana. León Félix Batista, il critico prefatore del volume sottolinea della sua poesia "el privilegio de profunda relevancia a los hechos cotidianos": «La poesía de Rodríguez se decanta específicamente por la lectura irónica de la banalidad urbana. Uno de los efectos de esta operación parecería ser la construcción de una imagen precisa del poeta como cronista de las prácticas de la vida cotidiana en la maraña de la ciudad. En un espacio literario como el dominicano, en donde prima la marca de una poesía fácil, embaucadora y sensiblera, ¿se le puede pedir más a un poeta?».
Lo que asesina al limpio
Lo que asesina al limpio,
al pretendidamente limpio con solapas grandes
no es la cámara de gas del homicida.
Lo que tumba no es el viento sucio
que sopló en la tarde (o),
la novedad de un paso desplazándose en la cuerda.
Lo que asalta y enloquece verdaderamente,
es la línea sola del equilibrista,
su lugar-desprevención (carrera a solas) o lo que es
la metafísica y lo opuesto.
La ciudad en lo alto señala el rumbo en los relojes.
En la tarde grande (auténtica)
vístase el poeta.
En esa misma habitación se descompone,
se horroriza.
12 lug 2007
Levi a Torino: Ossola vs Belpoliti e il bel libro di Cavaglion
Nell’incontro dedicato a Primo Levi e i libri della dignità umana, al Salone del libro di Torino sono seduto stretto vicino ad Andrea Cortellessa che poi cortesemente alzandosi riassume i termini del dibattito ad una giovane giornalista un po’ confusa dal non semplice dibattito, che ha luogo nell’imponente Sala 500 del Lingotto. Parlano Walter Barberis, poi Carlo Ossola, Marco Belpoliti, Enzo Bianchi e Giovanni Conso. Ossola leggendo l’antologia di Levi La ricerca delle radici parte dal noto schema del libro che va "da Giobbe ai Buchi Neri" e parla delle due salvazioni: “il riso” e “il capire” e poi di testi che certificano la “statura dell’uomo”, Marco Polo e Conrad in particolare. Argomenta poi con finezza che alcune letture hanno banalizzato la “banalità del male” di Hanna Ardent facendo di Eichmann quasi un inveramento della cupa idea luterana per cui l’uomo caduto non può salvarsi, il male radicale etc… Il primato va dunque alla senso profondo della pietas leviana. Belpoliti che esordisce dicendo neanche troppo velatamente che quella di Ossola è un’icona da benpensante, sostiene che occorre andare a ben altre radici. Bisogna cioè risalire e ripercorrere le tante contraddizioni di Levi, evidenziando le discontinuità di un percorso tutt’altro che lineare nel suo sviluppo. Per quanto ricordo gli appoggi testuali di Belpoliti mi parvero meno forti di quelli del più fascinoso e canuto Ossola, ma la sua retorica meno azzimata e formale parve riscuotere maggiiori consensi. Il riferimento di Belpoliti non può non rimandare a quella fine discretamente taciuta da Ossola; quella fine che pare scardinare i presupposti della caparbia “conservazione sottrattiva ” che Levi praticò per tutta la vita… Levi continua a porre interrogativi radicali e inquietanti ponendosi come un “campo ad alta tensione simbolica” e tante sono le cose ancora da leggere nello specchio cangiante di quell’opera: si possono operare macro ingrandimenti su un particolare, come fa ottimamente Alberto Cavaglion nel suo ultimo libro, oppure, partendo da una considerazione di “generi letterari” e di intertestualità, provare a tenere insieme socialità e struttura di un testo, come ho tentato di fare in un convegno tenuto a Trento questa primavera di cui presto potrete leggere il testo.
11 lug 2007
esperimenti curiosi e quesiti immutabili: le uova per Gillot
Decoro e realtà
Nella modernità il concetto classico di decoro è forse quello che più ha subito le conseguenze di quella “fine delle convenzioni a favore del realismo” a suo tempo individuata da T. S. Eliot e per avere un’idea di quanto avanti si sia spinto questo processo si può leggere quanto scrive Michal Houellebecq nel suo “méthode” del 1991:
Creusez les sujets dont personne ne veut entendre parler. L’envers du décor. Insistez sur la maladie, l’agonie, la laideur. Parlez de la mort, et de l’oubli. De la jalousie, de l’indifférence, de la frustration, de l’absence d’amour. Soyez abjects, vous serez vrais».
M. Houellebecq, Rester Vivant – méthode, La Différence, 1991 (rist. insieme a La poursuite du bonheur, Paris, Flammarion, 1997, p. 27).
Negli anni Cinquanta e Sessanta una certa critica cattolica reazionaria, spiritualista e filomonarchica, in nome del decoro amava scagliarsi contro il “crudo realismo” di certe opere, film e romanzi soprattutto. Un esempio potrebbe aversi operando uno spoglio della critica cinematografica dell’«Osservatore Romano» tra il 1950 e il 1989. Houellebecq l’autore che oggi parrebbe più lontano da tali posizioni pare però condividere, in merito al rapporto su decoro e realtà, una posizione più vicina al Vaticano che alla nostra Wouters. L’opposto del decoro non è il disaccordo ma la verità e la realtà, “nuda e cruda”, anche nella sua abiezione. Houellebecq nel suo Metodo per restare vivi, inedito in Italia (chi si ricorda del geniale Manuale di autodistruzione di Bordini?) sostiene: “scrivete l’inverso del decoro e sarete veri”. Illusione. Non pia forse, ma illusione sempre. Montaigne si interrogava sulla “tirannia del costume”; oggi, con altrettanto pervasiva ed invisibile pregnanza possiamo interrogarci sulla “tirannia del decoro” che si manifesta a noi in forma di Comunicazione/Informazione e Tecnica. Oggi Comunicazione e Tecnica impongono il “luogo del discorso”. E il “luogo del discorso” è la base ineludibile della legittimità. “Il mezzo è il messaggio” diceva McLuhan e milioni dopo di lui, ma forse non è più così (ed alcuni businessmen lo hanno anche teorizzato p. es. Augusto Preta, Economia dei contenuti. L’industria dei media e la rivoluzione digitale). Ma il decoro non è solo il mezzo e non è neanche il messaggio. Il “tiranno-decoro” è l’opportunità. Il luogo e il tempo, l’occasione giusta perché l’impossibile accada.
Liliane Wouters, Faux décors
Il ouvre les yeux dans un autre univers,
Il a fait le tour de tous nos mirages,
Il voit bien mieux le monde à l’envers,
Il a perdu corps, c’est pour prendre espace
Il a trouvé mort mais vit Dieu sait où,
Adieu faux décors, l’esprit cherche place
Dans le désaccord de ce qui fut nous.
da Oscarine et les Tournesols
I dottori di MASH e il 27 di Bovary: Zoilo e il chiarissimo Giusti
In ogni caso all’inizio del 2000 in quell’hangar mi laureai e per laurearmi dovetti inoltrare domanda al “Chiar.mo” preside della facoltà di lettere e filosofia e usare così per la prima volta in vita la parola “chiarissimo” riferendolo a persona e per di più in forma orribilmente scorciata. Mai avrei pensato di scrivere in qualcosa di ufficiale, di stampato, di mio la parola “chiarissimo” eppure lo stavo facendo e “qualcosa non va”, mi dicevo, “pare anche questa una presa in giro”. Tutti gli scrittori di un qualche valore non disdegnavano di gettare fango sull’accademia, sull’università, come se il loro successo avesse covato in un rancore fatto di volontà di rivalsa, eccetera eccetera, eppure io, all’università non ci volevo male… però anche gli autori che studi solo lì parevano dire il contrario di quello che si faceva nell’unico posto che mi pareva delegato almeno a celebrarne se non la memoria, almeno la storia. E poi infondo anch’io avevo paura di diventare un pettegolo e copione, uno di quelli cui parla Giusti in una sua poesia del 1845 intitolata appunto Contro un letterato pettegolo e copista e che comincia “O chiarissimo ciuco”
O chiarissimo ciuco
O cranio parasito
All’erudita greppia
incarognito;
Tu del corvello eunuco
All’anime bennate
Palesi la virtù
colle pedate.
Somigli uno scaffale
Di libri a un tempo idropico e
digiuno,
Grave di tutti, inteso di nessuno;
O meglio un arsenale
Ove il
sapere, in preda alle tignole,
Non serba altro di sé che le parole.
Poiché
sfacciatamente
Copri de’ panni altrui l’anima nuda,
Scimia di forti
ingegni e Zoilo e Giuda;
Smetti, o zucca impotente,
Di prenderti altra
briga;
Strascica l’ostro sulla falsariga.
che tutti danno e tutti vogliono a tutto pasto, tanto che oramai bisognerà dire
nelle mattutine e nelle vespertino orazioni (o correggere anco nelle preghiere
della Chiesa) a peste, fame et clarissimo, libera nos Domine. Non so se sappiate
che in quest’altro Congresso sarà proposto dai professori di fisica di dar
piuttosto del Diafano o, più italianamente parlando, del Trasparente. A me
piacerebbe molto potere scrivere: Al Diafanissimo signor, ecc. Al Molto
Trasparente Professore, ecc.
10 lug 2007
Restaurazione o Speranza? Gianni D'Elia, Ernst Bloch, Tonino Guerra, Ratzinger, Boy George...
La speranza è perciò la virtù di un'ontologia di lotta, la forza dinamica della marcia verso l'utopia. Leggendo Bloch, Ratzinger interpreta la sua speranza come ottimismo e come fiducia nel progresso e probabilmente calca un po' troppo la mano su questo punto (visto che ben nota è la critica di Bloch alla linearità del progresso). Secondo Ratzinger la "virtù teologica" di un "Dio nuovo" e di una "nuova religione" è la virtù di una storia divinizzata. Una "storia" di Dio, dunque, ma del grande Dio delle ideologie moderne e della loro promessa. Questa promessa è l'utopia, da realizzarsi per mezzo della "rivoluzione", che per sua parte rappresenta una specie di divinità mitica. Ratzinger in fin dei conti attacca la divinità illusoria della storia che pone dio al suo servizio. Peraltro chi non crede nelle "magnifiche sorti umane e progressive" non è mai visto di buon occhio, e tuttavia non potendo fare del pontefice un nichilista leopardiano, questo suo pessimismo, in un dibattito della metà degli anni Ottanta attorno al suo Rapporto sulla fede, lo rese un conservatore reazionario.
Allora, alla metà degli anni Ottanta l'attenzione dei suoi critici si catalizzò attorno ad una parola che in questi ultimi due anni si è diffusa nel mondo delle lettere e della rete "Restaurazione". (si veda l'articolo di Antonio Moresco dell'aprile 2005 nella prima Nazione Indiana e ricordi, chi c'era, l'incontro di Torino del maggio, in cui lesse il Cantico di San Francesco e abbandonò il gruppo assieme ad altri membri fondatori). Di questa restaurazione eccone una radice appena sepolta sotto due dita di polvere storica, al tempo che Boy George era una star internazionale e non un Dj al Bajda di Noli. Di tutto questo pare che a D'Elia non importi moltissimo, e il suo accenno al pontifex conta meno di una poesia attorno al fuoco, meno delle voci che parlano in un mare di tela azzurra, meno dei muratori che lavorano sulle impalcature fuori della sua casa di Pesaro. La restaurazione pare non l'abbia sfiorato e, non me ne voglia, rispetto all'apetura a più voci dei Trovatori, mi pare si trovasse più a suo agio in una "bassa stagione".