Tempo di veleni e di premi, di indignazioni e cronache, di fastidi. Campiello e Viareggio. Nel primo caso il poeta e giornalista Mario Baudino propone l'inversione della cinquina scelta dalla giuria proponendo Fruttero, Zaccuri, Bugnaro (d'accordo ma propongo un ex equo tra i due secondi). Nel secondo caso c'è solo da leggere il carteggio on line del premio Viareggio per capire il clima in cui si gioca il tutto. Berardinelli si dimette, Ficara e Rasy sono tra i dieci firmatari della lettera di protesta indirizzata al sindaco. Franco Loi con le sue Voci di osteria (Mondadori) se l'era gia battuta dichiarando di non voler parteciare alla gara, i tre aspiranti vincitori per l'opera prima Simona Baldanzi (1977) Paolo Colagrande (1960) (già vincitore del "Campiello opera prima") e Paolo Fallai (1959) sono in inbarazzo per essere venuti fino alla serata per niente. Finita la stagione, un bilancio, pensando anche allo Strega. La vittoria di Amanniti mi pare abbia rivelato e consacrato un salto nel campo dei valori economici ed estetici (la breccia, però era di Veronesi), poi salta agli occhi il successo di una scrittrice di forza e maniera, Milena Agus (seconda anche al Campiello) una macina-tam-tam-"libro da niente"- che fa la gioia di Nottetempo e assicura qualche futuro. I giorni innocenti della guerra di Mario Fortunato è interessante per ragioni che ora non dico ma che hanno a che fare con la "postcolonialità" di Saviano, incautamente introdotta e che attiene anche la Vestaglia Blu di Simona Baldanzi. Ma di ciò diremo. Preferisco tacere invece di Le stagioni dell'acqua di Laura Bosio e de Il profumo della neve di Franco Matteucci in concorso allo Strega e della vincitrice del Campiello Mariolina Venezia (Mille anni che sto qui" Einaudi) che avrebbe dovuto essere stracciata dal Romolo Bugaro di Il labirinto delle passioni perdute (Rizzoli) e da Alessandro Zaccuri con Il signor figlio (Mondadori). Venendo alla poesia, credo di preferire Michele Mari e la sua "Ladyhawk" al "marmo" di Silvia Bre e anche nella saggistica mi dissocio dalle votazioni e propendo decisamente a favore de il Testo Visivo di Agamben della piccola editrice Marinotti piuttosto che con la solita Einaudi-piglia-tutto.
Venendo infine al tanto patito Viareggio, Filippo Tuena l'ha spuntata sul forse più blasonato (e a me sempre simpatico) Ermanno Cavazzoni. Il romanzo di Tuena non l'ho letto ma conosco le sue poesie. Sull'intelligentissimo e meritorio sito "Nonleggere" potete ascoltarlo mentre ne legge. Vi invito a notare il nome dell'editore che pubblica i Quattro Notturni (La collana "Le Remore" di Giuseppe Aletti) e notare la solita sproporzione tra due linguaggi, uno che è sul mercato, e uno no. Mi stupisce poi vedere che tanta parte di quella scrittura che vende così tanto è fatta da persone che, da subito, di primo acchito, d'isitnto hanno praticato quella scrittura che vende così niente. Gli esempi si sprecano, dagli anni di Pirandello a quelli di Baudino, Fois e Paola Mastrocola, tanto per citare i primi tre nomi che mi vengono in mente. Cosa diceva Croce dello scrivere poesia dopo in vent'anni? Se aveva ragione lui lo si dica a chiare lettere.
Venendo infine al tanto patito Viareggio, Filippo Tuena l'ha spuntata sul forse più blasonato (e a me sempre simpatico) Ermanno Cavazzoni. Il romanzo di Tuena non l'ho letto ma conosco le sue poesie. Sull'intelligentissimo e meritorio sito "Nonleggere" potete ascoltarlo mentre ne legge. Vi invito a notare il nome dell'editore che pubblica i Quattro Notturni (La collana "Le Remore" di Giuseppe Aletti) e notare la solita sproporzione tra due linguaggi, uno che è sul mercato, e uno no. Mi stupisce poi vedere che tanta parte di quella scrittura che vende così tanto è fatta da persone che, da subito, di primo acchito, d'isitnto hanno praticato quella scrittura che vende così niente. Gli esempi si sprecano, dagli anni di Pirandello a quelli di Baudino, Fois e Paola Mastrocola, tanto per citare i primi tre nomi che mi vengono in mente. Cosa diceva Croce dello scrivere poesia dopo in vent'anni? Se aveva ragione lui lo si dica a chiare lettere.
Ripenso infine a Vespa intrvisto l'altra notte disquisire di scarpe gialle con il vincitore morale del Campiello. Ironizza sulle calzature. Sta bene, ne sutor ultra crepidam, ma mi viene in mente anche un aneddoto poco conosciuto che riguarda Dino Buzzati. Sorpreso mentre guardava una fotografia a colori di Paul Claudel, il poeta e drammaturgo e diplomatico francese, il pingue Claudel contro cui Celine aveva (a ragione) schiumato la sua bile, si era sciaguratamente fatto ritrarre con un ginocchio a terra, sul viale di un giardino, nell’atto di cogliere un fiore da un cespuglio. Buzzati, uomo di attenta eleganza, commentò: “Però ha le scarpe gialle”. L’occhio dell'interlocutore corre alle sue, di scarpe; anche l'arguto Rinaldo De Benedetti le aveva gialle. Buzzati cercò di dissipare l’imbarazzo, osservando che Claudel, un poeta, avrebbe dovuto stare più attento. L'imbarazzo delle scarpe, ciclicamente ritorna, come a ricordare che in tutti i giochi c'è sempre qualcuno cui "vogliono fare le scarpe"...
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