20 set 2007

Periferia Pavese International suicide

Quest’ estate in Spagna ho comprato un numero di «Camp de L’arpa» del novembre 1979 dedicato a Cesare Pavese. Articoli di G. Mario Golodoff, J. E. Ayala-Dip, Robert saladrigas, Macelo Choen eccetera…sfogliando quelle pagine, pensai a quanto scriveva Wisława Szymborska nelle sue Letture facoltative: "L’Europa è un continente piccolo, diviso in piccoli stati, per di più. Si può dire che a ogni passo vi s’incontra un confine. Questa è ormai la specificità della nostra Europa, questa è la sua irripetibile bellezza…"
E d’altronde poi... Cinese e Hindi insieme fanno 1.100 milioni di parlanti. Le lingue occidentale più diffuse, Inglese e spagnolo, insieme neanche 700. L’ Arabo lo parlano 220 milioni, il Bengali, 190 milioni; il Portoghese, circa 180 milioni, Francese, 180 milioni, Russo, 170 milioni, Giapponese, 127, Tedesco, 100, Coreano, 78, Vietnamita, e Italiano 70 milioni, Polacco, quasi 50 milioni.
Sento spesso dire in giro che l’Italia è un paese minore. “Minore, minore… minore per forza” dico io. Le stime pubblicate da «Veranstaltungsskript von Christian Lehmann» e da «Ethnologue» nel 2005 parlano chiaro. Demograficamente parlando la struttura dell’immaginario dovrebbe conformarsi nel futuro secondo tutt’altri canoni rispetto a quelli cui siamo abituati. Le masse spaventano la reazione,: bisogna consolidare il canone; ma poi avvedendosi al solito che la forma della replica è la farsa, tutti ben felici di transitare latinità, dal formaggio ai grattaceli. La versione soft, la “meraviglia” e il “possesso” e poi, passo passo verso un auspicabile “negoziato”, tanto per rifarsi a tre termini chiave di Stephen Greenblatt.
Immaginiamo di comparare, con metodi empirici, il campo letterario dei tre ultimi paesi della lista di cui sopra, il Vietnam, la Polonia, l’Italia. Una sorta di dialogo umanistico in forma di “cimelio”. Tre intellettuali che discutono i valori per il nuovo millennio e della storia loro e dei loro paesi negli ultimi trent’anni, mettendosi in gioco in maniera personale, presentandosi e parlando dal crollo delle ideologie, delle utopie, della rivoluzione francese, dello stato costituzionale, del dialogo interreligioso, dei valori estetici, del Novecento, della morale sessuale, di quello che preferiscono insomma, così, a braccio, magari in forma breve, quasi aforistica… Ne verrebbe fuori un libro se non altro curioso per i tre rispettivi bacini.
E splendido bersaglio per i critici dei rispettivi paesi attratti da un boccone di così facile lettura: è nel contratto dover spiegare ad “altri” che non sanno o in ogni caso e per forza di cose sanno meno. Una bella tentazione per ogni scrittore di quel genere di fiction che è la saggistica. […] Andando più in giù nella lista di «Ethnologue», ai piani più bassi, tutte le lingue dell’Africa, il continente anche linguisticamente più sfracellato. Penso in particolare lo Hausa, che presenta una letteratura davvero interessante. Ma quando troverò il tempo di leggere capolavori lontani e sconosciuti: chi pubblicherà ( o Ha pubblicato) Muhammadu Garzo e Abubakar Imam; Abubakar Tafawa Balewa e Zaynab Alkali. O i poemi di Okot p’Bitek e di Sa’adu Zungur? E soprattutto, cosa più importante, saprò ascoltare? Riflettere su quanto in fondo l’Italia si senta “meglio” di Vietnam e Polonia. I bookmaker sarebbero tutti a favore dei campioni del mondo, dello stato più ricco, ma quante volte siamo capitolati?
Riguardo alla provincia universale, alla Polonia, e alla mia Spagna di «Camp de L’arpa» riporto infine da Imperfetta Ellisse una poesia di Jaroslav Mikolajewski, poeta nato a Varsavia nel 1960 tradotta dal polacco da Lorenzo Pompeo ed Eliza Piotrowska. Il titolo è “Cesare Pavese” e ovviamente tratta dello scrittore nato all’inizio di settembre novantanove anni fa a Santo stefano Belbo. Niente pettegolezzi, ha detto l’ultima volta. E ancora per un anno gli va bene.

Cesare Pavese”

Collina, vigne e la densa polvere della strada
Che sempre più dura si scioglie nella nebbia del mattino.
Un uomo con gli occhiali si sdraia sul ciglio
sotto una vite morta e rimembra
il paesaggio nascosto dietro le umide nubi. Alza la testa
soltanto quando i germogli secchi che gli solleticano la nuca
sono caldi e il sole ha spazzato via la nebbia dalla strada e dalle colline.
Tutto è rimasto uguale, solo la luce è diversa
ricorda un ragazzo di quella stessa terra
osservava gli animali e la gente sui campi.

Respirando il profumo delle foglie fumanti l’uomo cammina
verso la città dietro la collina. Quelli attorno ai quali passa,
non si distraggono dal lavoro, non volgono lo sguardo
dalla strada. Neanche le donne fanno caso al cielo
e scoprono i fianchi al sole, come grappoli d’uva
assorbono il pomeriggio.

Quando in periferia
sente sotto i piedi l’asfalto duro, l’uomo
pensa a se stesso come un mare, che non genera niente,
nel quale il futuro è già morto e sepolto.

1 commento:

Giacomo Cerrai ha detto...

grazie per la citazione e il link
G.Cerrai
http://ellisse.altervista.org