30 nov 2007

Il belgio, Borghezio e la pietra filosofale.

Non so perché negli spogliatoi della piscina, con l’avvocato si finì a parlare di Borghezio e della faccenda dei treni disinfettati dagli extracomunitari. Il giorno dopo ritrovo il grand’uomo della lega sul volo per Bruxelles e lo scrivo all’avvocato. “Peccato non avere il disinfettante”. E lui: “fai le puzze”. Dopo due giorni di convegno ad Anversa e mezza giornata a Lovanio, in aeroporto al check in, ancora Borghezio. Questa volta ho finito i soldi sul cellulare, allora con due colleghe del convegno anche loro ritorno sullo stesso volo, vado al Pizza Hut, in allegria. Una birra, sigaretta fuori e poi all’improvviso barcollo, rientro nell’aeroporto, guadagno una sedia, dolori lancinanti al fianco sinistro, impallidisco, sudo, le mani formicolano, vista scura, ballo l'occhio. Le colleghe chiamano un medico e mi portano ombrello e i bagagli al Meda Luchthavendokters del Bruxelles Airport, dove mi diagnosticano un attacco acuto di calcoli. Niente di epico ma quelli volevano tenermi e io avevo alcuna intenzione di essere ricoverato, tanto meno lì. Il Dr House sconsiglia: “il reviendra”. Ma è possibile firmare e fuggire mostrando il biglietto aereo per ricevere indicazioni su dove andare: “floor three, left, gate sixty-eight. Forty-five euros, please”. Pago, vado, sbaglio e imbocco per i voli extraeuropei superando senza sospetti una coda di africani e cinesi in coda con spiegazioni goffe e un milione di “sorry”. Torno indietro verso un’enorme “EU” circondata da stelline su fondo blu e imbocco la corsia giusta. Qui la cosa è più rapida ma devo ancora passare i metal detector e i raggi x per i bagagli a mano, più una serie interminabile di scale mobili. Quando credo di essere allo stremo un cartello minaccia “Gate 60-70 time expected 10-15 min.” e una sfilza di tapis roulant si srotola in uno spazio enorme, una distesa deserta, che scorre in automatico, come in un disegno di Buzzati. Io e la mia carta d’identità scaduta da un giorno vediamo sfilare i grandi numeri, sudando, verso il 68. All’imbarco, dietro una scrivania posticcia blu elettrico un ragazzo sorride complice come fossi uno che acciuffa per la rotta di collo il volo di ritorno che tiene su la tresca con l’amante e dice il mio nome, quasi fossi atteso per cena: “Mr. A.a. I guess…” “Of course”, ansimo, “di corsa”. A bordo ritrovo Giulia e Francesca, le colleghe che pietosamente mi avevano dato una mano e mi accomodo raccontando della faccenda. La mia situazione, palese tra le ultime file del volo che seguono la storia dell’avventura ospedaliera del ritardatario, desta anche l’attenzione del mio vicino, cordiale, ben piantato, segnato da un taglio fresco che dalla fronte si sposta per tratti irregolari lungo la dorsale del naso, a croste irregolari. È cordiale, del sud, molto scuro. Parliamo di gusto. Con il mio accento piemontese faccio qualche battuta sulla Lega, lui ride. Poi mi racconta che si è fatto male riparando il muso di un muletto. La sua ditta ha sede a Torino e affitta macchinari in tutta Europa. Quando si guastano a lui tocca partire ed andare a metterli a posto. Ha sentito che non ho voluto ricoverarmi e mi dice che anche lui ha rifiutato i punti. “Tanto va a posto”. Poi mi mostra anche la cicatrice di una scheggia di metallo in una mano che però aveva dovuto togliere perché era quasi arrivata al tendine. Uno dei tanti segni del lavoro che si fa. L’iniezione di Toradol, i 40 mg di piroxicam e il mio anonimo e cordiale interlocutore garantirono un buon volo. Entrambi in viaggio di lavoro, entrambi abbastanza soddisfatti nonostante l’infortunio, dormiamo. Nobilitato dal raffronto penso con autoindulgenza a quanto è forte il senso di colpa dei poveri intellettuali che hanno scelto di non fare la voce grossa, di rimanere uguali a tutti. Lui mi dice di non preoccuparmi per i calcoli: al cognato camionista dopo un paio di attacchi glieli hanno tolti e adesso sta benissimo. Problemi legati al lavoro, autotrasportatore o aspirante saggista è lo stesso. Così mentre m'assopisco ripenso al cammello azzurro che si affaccia sulla piazza della stazione di Anversa a presidio di uno zoo di inizio secolo, ad “Antwerpen” la poesia di Ford che Eliot generosamente considerava tra le migliori in assoluto sulla prima guerra mondiale («For there is no new thing under the sun, / Only this uncomely man with a smoking gun»); al convegno di Genova e a quello appena passato grazie a cui ero su quel volo, a Sigfried Sassoon imitato da Levi e a quella generazione parallela che cercando una cultura comune e si trovò a combattere su fronti opposti due volte nel giro di nemmeno quarant’anni. Mentre mi assopisco torna anche Montaigne e il suo viaggio in Italia in cerca di terme e il capitolo Dell’Esperienza che chiude il terzo e ultimo volume dei Saggi :

"Mais est-il rien doux, au prix de cette soudaine mutation; quand d'une douleur extreme, je viens par le vuidange de ma pierre, à recouvrer, comme d'un esclair, la belle lumiere de la santé: si libre, et si pleine: comme il advient en noz soudaines et plus aspres coliques? Y a il rien en cette douleur soufferte, qu'on puisse contrepoiser au plaisir d'un si prompt amendement? De combien la santé me semble plus belle apres la maladie, si voisine et si contigue, que je les puis recognoistre en presence l'une de l'autre, en leur plus hault appareil: où elles se mettent à l'envy, comme pour se faire teste et contrecarre!" (ed. it. Adelphi, p. 1464)

La filosofia dell’esperienza di un sedentario viaggiatore che cercò il confronto e la differenza a dispetto di tanti piagnistei. Dentro, un sorriso di gratitudine per quel misterioso piccolo mondo sospeso a novemila metri, Borghezio incluso: «Pour m’estre dés mon enfance, dressé à mirer ma vie dans celle d’autruy…» (p. 1439).

Nessun commento: