8 nov 2007

Il “signor rosmarino”. (Moresco saggista III)

Alle missive che compongono le Lettere Nessuno se ne potrebbe aggiungere una, forse la più radicale scritta, indirizzata a Papa Benedetto XVI.

"Caro Benedetto XVI, scusi il modo diretto con cui mi rivolgo a lei, senza i soliti appellativi che si usano in questi casi. Non è per mancanza di rispetto ma per un bisogno di verità e confidenza con la sua persona prima ancora che con la sua figura istituzionale. Lei di certo non mi conosce. Perciò mi presento. Io non sono né un ateo devoto né un devoto ateo. Sono solo uno scrittore che in un suo libro ha immaginato un papa che, appena eletto, dopo duemila anni, scioglie la Chiesa".

Questo è il “gesto estremo” che Moresco chiede a Benedetto. Lasciare che la Chiesa conosca la sua morte, per poter risorgere veramente. Questa è la prova. Questa è l’oltranza, questa la fede richiesta da Moresco. Fin troppo facile deridere quest’idea associandola a quella dei santoni che ti fanno crepare dicendoti che ti risveglierai su un pianeta riscaldato da Proxima centauri. Fin troppo facile far finta di non comprendere la portata simbolica “immanente” di tale proposta. Penso alle argomentazioni facilmente confutabili di Oddifreddi e alle più sottili argomentazioni di Ferraris sulla “reale presenza” e altre aporie della fede come consumo. Dietro o sotto questo secondo discorso, apparentemente formale, ci sta il vero problema di un cadavere trafugato o assunto, carne e ossa, nell’invisibile. Bene se non ci crediamo più, alla lettera, bisogna dirlo. La vita eterna non è la resurrezione e se si vuole davvero risorgere, testimoniare che la resurrezione è data bisogna avere il coraggio non di praticare un suicidio, ma di accettare, la morte. Un disperato gesto di fede: «Se anche la Chiesa si vuole salvare, si perderà nei tempi che ci aspettano». (sul concetto di accettazione vedi quanto detto nella parte II)

"Mi rendo conto di quanto sia ingenuo e abnorme quello che le sto chiedendo. E so bene che mi si potrà rispondere: nessun uomo può sciogliere la Chiesa, perché è stata istituita dal Figlio di Dio. Ma c'è bisogno di liberare tutta la spiazzante potenza resurrettiva del cristianesimo. Bisogna che si liberi dall'interno del suo vuoto una potenza nuova ancora sconosciuta, proporzionale a quanto ci sta succedendo. Che si liberi la potenza creativa e resurrettiva dell'umanità femminile che è imprigionata anche al suo interno. Che la Chiesa non rimanga bloccata in una sterile guerra di posizione tra le altre potenze secolari imperiali. […] La salvezza non ci può venire solo dalla politica, dall'economia e dalla tecnica. La sfida è estrema. Bisogna liberare una enorme forza latente che -forse- è imprigionata da qualche parte. Bisogna pensare l'impensato perché l'impensato è esattamente ciò che ci sta succedendo. L'idea più estremistica e grande del cristianesimo è quella della resurrezione. C'è bisogno di questo estremismo in questo passaggio di specie su questo pianeta sovrappopolato e stremato. Servirebbe un gesto estremo, impensabile, irradiante, compiuto da chi avrebbe la potenza esemplare per farlo".

L’idea heidegerriana “di procedere verso l’impensato che bisogna pensare”, ripetuta alla nausea dai tanti alfieri della reazione (che pensano e scrivono continuamente il già pensato e già detto) qui si carica di una luce “immanente” sconosciuta ai tanti che di questa celebre frase si sono impossessati. La portata vertiginosa delle parole di Moresco però eccede ulteriormente questo piano che ancora in qualche modo potrebbe definirsi critico e storico quando sfocia nell’idea del sogno come creazione. Creazione di una forma antropomorfa consustanziale al senso antropologico e umano della profezia come “incarnato” “in figura” ancor prima che “in narrazione”. Infatti anche la forma della lettera sparisce, sparisce l’interlocutore, sparisce l’emittente. Resta la visione.

"Ecco, io vorrei arrivare con i miei sogni fino ai sogni del Papa, entrare nel regno dove i sogni del Papa si uniscono al resto della massa elettrica e spirituale di tutti i sogni sognati. Forse, di tanto in tanto, bisbiglia qualcosa nel sonno, anche se nessuno la sente. O forse qualcuno sì, chi può dire… Forse, quando è tutto buio e silenzio nelle sue stanze, un signore alto si avvicina al suo letto, si siede sulla poltroncina lì a fianco. La guarda dormire, in silenzio, assorto. Ascolta le parole che le sfuggono dalle labbra mentre sogna. Chi sarà mai questo signore? Come si chiamerà? Ma sì, diamogli un nome, un nome dolce, gentile, chiamiamolo il signor Rosmarino, perché lascia dietro di sé un leggero profumo di rosmarino. È quello che avverte anche lei la mattina quando si sveglia, e magari lo scambia per qualche profumo liturgico emanato dai suoi abiti durante la notte. Il signor Rosmarino la guarda in silenzio, nella penombra, ascolta le sue parole sussurrate a fior di labbra nel sonno. Poi, alle prime luci dell'alba, così come era arrivato, senza che nessuno lo veda, si allontana".

Dire con la voce la visione, una figura del sogno che nulla, assolutamente nulla condivide con il surreale, è un progetto destinato a debordare i confini di ciò che si può intendere come “lettera aperta a” o “discorso critico a partire da…”: è un’idea e una pratica di creazione destinata a resistere al di là delle proponibilità o della reale possibilità che propone. Nel contemplare questo inesausto “fiorire” di figure emblematiche si prova lo stesso senso di spiazzamento profondo e imbarazzante che si può provare di fronte ad alcune lettere di Giordano Bruno o di Tommaso Campanella; quelle lettere che partono con un fine politico e critico ma sfondano in tutt’altro, in un invenzione unica, allegorica, illustrata, inusitata, di nuova potenza (invenzione poi tradita e perversa del mistero e dell’iniziazione di una tradizione risorgimentale e massonica, settaria). Moresco ripete di continuo la necessità di fronteggiare questa mutazione radicale, questo salto di specie in arrivo e insieme già arrivato; non a caso Bruno e Campanella attraversavano una sconvolgente mutazione epistemologica, e con le loro opere abnormi furono i testimoni, prima di Galileo, di tale profondo sconvolgimento. L’apparentemente umile, laico buon senso sperimentale dello scienziato appoggia sui furori dissennati e sulla dissimulata pazzia di uomini visionari, incapaci di prudenza, di pazzi che profetizzavano mutazioni poi occorse ma allora ragionevolmente imprevedibili; che mischiavano astrologia e magia con scienza naturale, fandonie e verità sensibili. Visoni aurorali, scomposte, partorite da carni abituate al supplizio, in condizioni impossibili. Concludendo, la prospettiva di una liberazione come pensiero e discorso in Moresco mi pare annullata dall’incarnazione. Da un signor Rosmarino qualsiasi, arbitrario, potentissimo e disarmato, che si prende tutto sulle spalle, come un re africano che pedala su una bicicletta da camera per tenere il mondo nella sua orbita: impensabile. Irragionevole come la volontà di un ciabattino calabrese che, dal fondo di una prigione, pretenda di comprendere e riformare il suo mondo, di parlare a papi e imperatore. Un tizio come Campanella che studiava la visione attraverso le anatomie dei bulbi, che fu capace di comprendere che la febbre non era una malattia ma la reazione fisiologica ad un male, che seppe illustrare l’eugenetica e i nessi ecologici tra piante, animali e ambiente; che profetizzò di vascelli capaci di navigare senza vento né remi, di telepatia, di apparati acustici capaci di captare suoni dagli spazi siderali. Un pazzo che fu un poeta straordinario, la cui oltranza riverbera nel Novecento con risultati tra loro molto diversi: la mistica di Rebora frammento lirico 68 (cfr. il sonetto Della Plebe di Campanella), la militanza di Leonetti ("La voce è quella di Campanella e / dei vociani con militanza moderna, / addolcita dei suoni di Bologna", La voce del Corvo) o l’Invenzione di Moresco di cui ho presentato un esempio.

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