3 ago 2007

Il brutto potere, il comune danno, l'impero.

In uno dei primi post scrissi di Ratzinger e della sua critica al principio speranza di Broch. Qualche giorno dopo apprendo del "motu proprio" del Papa ed attendo un profluvio di reazioni. Ma inizialmente leggo solo della messa in latino cui plaude Ceronetti dalle colonne de "La Stampa", a fronte però del latino stento e pieno di "bruttezze" utilizzato nel documento vaticano evidenziato ironicamente da Carlo Ossola sulle pagine del "domenicale" del "Sole 24 Ore". Ma la questione del latino è minore. Ratzinger con questo suo documento in sostanza chiude con la lunatic fringe di chi voleva una lettura eterodossa di alcuni passi del Gaudium et spes, là dove si parla dell'unicità e universalità della Chiesa Ratzinger riprende alcune idee già avanzate nell'agosto 2000 in una "dichiarazione circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa". Dopo il '68 un punto di apertura verteva proprio sull'idea di unicità e universalità. Detto in parle povere: Gesù è venuto per salvare tutti, quindi la chiesa è una perchè si deve identificare con l'intera umanità. L'unicità e l'universalità della chiesa dopo il Concilio vennero interpretati come principi di non esclusione degli altri. Non ci sono i "sommersi e i salvati". Siamo salvi tutti. Ratzinger invece corregge significativamente il tiro bruciando trent'anni di progresso, per cui quelli di "Rocca" e tanta altra sinistra cattolica da Gozzini in avanti dovrebbe mettersi le mani tra i capelli. La Chiesa è unica perchè c'è nè una, ci ricorda Benedetto, e quell'una è la sola chiesa cattolica romana, con buona pace dei fratelli orientali. E poi, è universale non perchè riguarda tutti, ma perchè il suo magistero deve estendersi e valere su tutti: tutti sono chiamati ad uniformarsi ad essa ed è legittimo che il suo potere si estende all'universo-mondo. Mi si perdoni la volgarità dell'esposizione non degna del pronipote del teologo traduttore del Nuovo Catechismo Olandese, ma sono sicuro che lo zio non me ne vorrà se cerco di essere chiaro a rischio di apparire irriverente. Sì perchè la situazione è seria. La restaurazione e la chiusura alzano la voce: basta con la poltiglia postmoderna dove va bene tutto: "La chiesa è questo e non addolciamo la pillola. Prendere o lasciare". Se la strategia di Giovanni Paolo fu portare la Chiesa al mondo , aprendosi alle istanze della modernità (della comunicazione se non altro) e affrontando qualche rischio eterodosso, la strategia dell'intelligentissimo Benetto è opposta, ed oggi vincente. Si tratta di portare il mondo alla Chiesa. Non è un gioco di parole capzioso. Benedetto ha capito una cosa fondamentale, una punto che lo accomuna e lo mette in perfetta sintonia con molti giovani della mia generazione, che dall'ormai postumo post-moderno hanno appreso prima una lezione del relativismo, e poi da questo relativismo hanno tratto una forza, relativa ma indiscutibile. Quella di una verità del "particulare" di guicciardiniana memoria. In un mondo dove manca il fondamento assoluto della verità, è paradossalmente lecito tifare per una verità assoluta e per una fede assoluta anche se infondata. Infondo si muore spesso in nome di una fede, e spesso questa fede è per un gagliardetto, una divista, la maglia in una società calcistica quotata in borsa. Questa fede anche se irrazionale è reale e fattuale. Muove milioni. Non serve la verità per l'entusiasmo. Non serve la verità per attaccare. Non serve alcuna verità per fondare il potere che domina o alimenta le nostre vite. Questo è un primo punto preoccupante. La seconda preoccupazione mi viene dalla politica e dal conflitto con il potere giudiziario, e non mi rifersico al problema delle intercettazioni per la scalata ad Antonveneta ma ad una una risoluzione approvata all'unanimità dal Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura il 4 luglio 2007 e non troppo pubblicizzata in proporzione all'importanza della notizia che praticamente ci informava di un pericolo reale per la democrazia: di un conflitto di potere di proporzioni immani. La risoluzione riguarda i servizi segreti e dice che è stato il Sismi in sè stesso e non i “settori deviati” del servizio a svolgere l'attività di spionaggio nei confronti di magistrati. Dell’archivio segreto di Pio Pompa in via Nazionale a Roma è emerso che il servizio segreto ha svolto un’attività “estranea” ai suoi compiti con lo scopo “intimidire” e far “perdere credibilità” ai magistrati. Perchè metto vicini questi due elementi? Perchè se il reciproco controllo che è base dello stato costituzionale di diritto mostra le sue debolezze in una dinamica di delegittimazione o conflitto, ancora una volta ad uscirne vincitore è il carismatico appeal di una posizione che eticamente afferma di conoscere il bene, e di fronte a tanto disordine, pacata, ci propone le sue soluzioni assolute. Nette, semplici, apparentemente non del tutto ingiuste. Per questo tabto ripenso a Giacomo Leopardi e quei magnifici e terribiuli versi di A se stesso dove cita il "brutto / poter che a comun danno impera"... dove la potenza immobile dell'enjambenment perfettamente bilanciato tra rejet e contra-rejet pare interrogare insensibile, me ed il lettore futuro, come una sfinge.

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