17 lug 2007

Fumetto e letteratura, per uno sfondamento delle barriere. Eco e Zanzotto.

C’era una volta chi oziosamente si domandava se Salgari, Jack London, Stevenson, Wells o Zane Gray fossero letteratura. A costoro gli enzimi digestivi del tempo e le “misteriose fiamme” delle regine postmoderne, dagli anni trenta in qua, hanno dato una qualche risposta; lo stesso accadrà con Alan Moore e Neil Gaiman; con Craig Thompson e Art Spiegelman, per citare qualche nome a caso.
Esistono provocazioni inutili e fuori tempo massimo ― e chi ha ascoltato Accordo di Franco Mussida o ha sfogliato la Coazione a contare di Gian Pio Torricelli (Marcatre, 1968) sa cosa voglio dire ―; non è dunque una provocazione ma nemmeno acqua calda, dire che “le barriere tra letteratura e fumetto sono crollate”. Anche questo crollo infatti è frutto di una finta dialettica storica perché la distinzione tra letteratura e “paraletteratura” di fatto non ha mai convinto gli Oreste Del Buono (1923-2003) ed i tanti anonimi collezionisti, onnivori, come il matematico valdostano Demetrio Mafrica i cui volumi oggi vengono ad arricchire la biblioteca della Fondazione Sapegno. Un ulteriore passo in questa direzione è segnato dall’anfibilogia delle traiettorie di scrittori passati, per amore o per forza-denaro, dalla fiction al fumetto (il caso più noto: Tiziano Sclavi) o al contrario dei tanti autori di fiction il cui successo in termini di copie vendute è stato determinante per passare al fumetto; e parlo di Evangelisti, Pinketts, Carlotto, Danzeri, Cacucci, Lucarelli, Wu Ming 2. In queste opposte traiettorie verso la letteratura disegnata, determinate da opposte ragioni di mercato, “l’insuccesso” di Sclavi e “il successo” di Lucarelli & company, si consuma, in ciò che l’orizzonte d’attesa del mercato certifica: uno slittamento percettibile dei generi. Le generazioni passano e se nel superuomo di massa le sue analisi semiologiche del fumetto potevano parere all’avanguardia, La "misteriosa fiamma" pare veramente retrò e non nel modo previsto dall’autore, credo. Lì dal fumetto si è appreso “l’artificiale senza il sogno”. Un artificiale che, come un chiodo a espansione in un muro, va a saturare un intera memoria d’archivi prevedibili, morti.
Un verso di Zanzotto basti invece ad esemplificare come far saltare le barriere dell’espressione. viene da Gli sguardi i fatti e senhal:

- Vivo sarò la tua peste morto sarò la tua morte
- Il sempre è accoltellato è in ira
È in un fumetto in ik Ci sei?

Non so chi ci sia ancora ma da un testo così complesso ci sarebbe troppo da dire. È già l’ambiguità del titolo la dice lunga. Fino al Petrarca il senhal era nome fittizio con cui i rimatori provenzali e per imitazione quelli italiani designavano la donna amata, ma Senhal è un termine che nella storia ha assunto anche diversi significati: uno dei più emblematici, con una valenza apertamente negativa, è quello che designa un medaglione o una moneta imposti al bambino sorpreso a parlare occitano a scuola. Una specie di “scarlet letter”. Il senhal veniva messo al collo o doveva essere tenuto in mano, o addirittura fatto stringere tra i denti ed il malcapitato poteva liberarsene solo sorprendendo e denunciando un altro bambino che parlava occitano, al quale veniva passato il senhal. Questo atto discriminatorio è stato praticato per tutto l'Ottocento e fino ai primi anni di questo secolo nelle scuole della Francia Meridionale, con lo scopo di imporre la lingua francese e tali pratiche ovviamente sconfinarono anche nelle valli occitane del Piemonte. A Zanzotto la stigmate maudit di dire che “il sempre” è stato accoltellato, che è “in ira” ovvero è incazzato ma è anche nel momento in cui il lattante mette i denti; è nell’aurora di un esordio subito ripetuto e consunto, è nel delitto raffigurato nelle copertine di uno dei tanti fumetti alla Diabolik, Satanik, Cattivik etc...