17 lug 2007

L'ultimo Hernry Miller


«Nonostante tutti i sotterfugi e le menzogne, io credevo in lei. Io le credevo anche quando sapevo che mi stava mentendo. Qualunque cosa sbagliata, stupida, sleale facesse, riuscivo sempre a trovare una scusa […]; non riuscivo a dimenticare […]. Volevo vedere, e aspettavo con calma di vedere, che cosa lei si sarebbe ricordata di ricordare. Ma lei non era molto il tipo da ricordi o rievocazioni. Lei era sempre pronta ad aprire nuovi campi di esplorazione, mentre seppelliva il passato sotto cumuli di terra come si fa con una bara. Non c’era mai un domani. Era sempre ieri. E il giorno prima di ieri era un’altra storia. Mi riferisco alla sua vita con gli altri, la sua vita amorosa… In qualche modo tutta quella parte sembrava chiusa a chiave negli scantinati della sua memoria. Solo un candelotto di dinamite sarebbe riuscito ad aprirli. In fondo, era davvero importante, davvero necessario ripercorrere tutta quella storia?». Se, come disse Victor Hugo, “il bordello è il mattatoio dell’amore”, il piano bar è l’anticamera della sala da masturbazione. Ed, in anticamera, inchiodato al suo delizioso uccellino canoro, e poi insonne, nel suo appartamento, un Henry Miller ormai prossimo alla fine passò notti intere, acquerellando le sue angosce, ispirato dalla musica di Czerny e Busoni e dalle immagini di Blake e Bosch. Intrappolato, lui, nella gabbia del suo impossibile amare fuori tempo massimo una cantante giapponese dai tratti non propriamente rassicuranti ― figura di donna orientale che affianca la Michiyo Watanabe con cui Henry imparò il giapponese (tacitamente menzionata nel testo a p. 18) e Hoki Tokuda, che fu sua moglie. Nell’ultimo testo di Miller affiorano memorie da Hesse, Mann, Lawrence e trova posto persino una breve dislocazione del personaggio Moricand, protagonista di A Devil in Paradise (1961).
Pubblicato a Las Vegas all’inizio degli anni ’70, il testo è oggi disponibile per i lettori italiani grazie agli sforzi congiunti dell’intraprendete scout Martina Rinaldi e dell’agenzia letteraria di Elfriede Pexa, che in una libreria antiquaria di Philadelphia hanno rintracciato copia del manoscritto in un’edizione a tiratura limitata.
Henry Miller, Insomnia ovvero il dèmone dell’Amore, con quattordici acquerelli e riproduzione fotostatica del manoscritto, Roma, Castelvecchi, 2006, pp. 124, euro 13 (Insomnia or the Devil at Large, 1970; trad. dall’inglese di Costanza Rodotà).

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