24 lug 2007

Primi Tempi dell'Hangar

Negli anni d'Università 1995-1999 vissi a Torino. Un giorno, avrò avuto ventuno anni, venne dalla California Luigi Ballerini a tenere una bella lezione su Cavalcanti, invitanto da Carlo Ossola. Mi piacque, era dinamico, colto, una bella moglie, una gioia e un modo di fare spigliato, un'ironica lontananza dalle posture romantiche, un' amore ad oltranza per il letterario, per il trobar clus, per la bellezza a frammenti di Pound, e poi l'interesse per la poesia visiva... insomma quei valori mi piacevano e qualche tempo dopo aver letto e molto amato Il terzo gode (Marsilio) dissi non so per quale motivo a Barbara Lanati che la sua poesia mi sembrava meglio di quella del resto della neoavanguardia. Lei amava la poesia di Ballerini ma invitò a tenere presente che il nome del figlio di Luigi Ballerini era Edoardo. Ovviamente Barbara alludeva a Sanguineti di cui ho già detto. Qualche tempo dopo rividi Luigi Ballerini ad una presentazione dei suoi Stracci shakespeariani presentato da Giorgio Ficara, un critico che pareva a suo agio tanto con quelle poesie incomprensibili, quanto con quelle diversissime di Giuseppe Conte (di cui postillò un edizione de L'oceano e il ragazzo per Bur). Pensai: "io sarò incoerente ad apprezzare l'epigono Ballerini e non il protoripo Sanguineti, ma almeno a me Conte non piace". Uno monta la luna (Manni) è il suo testo di poesia più risuscito; meno mi convinse Cefalonia. Negli anni chiedendo in giro vedo che Ballerini piace a pochi che non siano in qualche modo epigoni di una posizione avanguardistica ed il suo caso mi parve paradigmatico di una realtà della poesia abbastanza sconcertante: la verità è a priori: nessuno "stava su" con la sua opera. Nessuno "stava su" con la sua voce. Era quasi tutta una questione non solo di correnti, ma di vere e proprie carte bollate, di certificati e patenti. Non è una questione di generi come per la prosa. dove è lecito dire : "Io scrivo gialli. tutti quelli che leggono e buona parte di quelli scrivono gialli rispettano il mio lavoro, tu che cazzo vuoi?". Impossibile fare lo stesso in poesia, o almeno nel 1994-1995 mi parve impossibile, e trovarmi un nume tutelare mi parve inutile. Scrivevo poesia ma qualsiasi sfrorzo per farsi conoscere in un mondo così privo di legittimità benché carico di passione, mi sembrava un inutile esercizio di narcisismo. Eppure l'ansia di essere conosciuto era grande quanto la paura di cadere nel vuoto. Al salone del libro nel 1997 o 1998 non ricordo lessi nel laboratorio di poesia di fronte a Krumm, De Angelis, Cucchi, Ricciardi. La mia poesia piacque a Krumm e non dispiacque affattp agli altri. Ebbi allora il vecchio biglietto da visita con la bici di Cucchi, quello Mondadori di Ricciardi e poi il numero di Ermanno Krumm. A De Angelis invece la poesia non era piaciuta molto e solo il verso "divani sfoderati una volta per tutte, / il velo d'asfodeli prima del vuoto" aveva incontrato il suo gusto. Mi trovava troppo ironico e quel giorno mi pareva un po'incazzato. Comunque il risultato e l'attenzione ci furono. Qualcosa c'era stato. Tuttavia negli anni a venire non chiamai mai nessuno di loro. Mi spaventai forse, fatto sta che mi chiusi a riccio per una decina di anni e cominciai a cercare di leggere i libri di tutti quelli che cercavano di essere poeti o lo erano diventati. Prima della mia poesia volevo fondare il mio giudizio ma il dolore fu grande quando constatai di non sapere mai se la pula l'avevo io negli occhi e tra le mani: nei primi tre volumi dei quaderni dei Nuovi poeti italiani Einaudi, la prima cosa che mi capitò di leggere, trovai poco e niente e la ragione di tanti poeti mi sfuggiva. Il giudizio delle letture di quegli anni era un'ecatombe: meglio tacere che parere ingrati, ma ogni tanto qualche scintilla... che dopo qualche lettura si riduceva... poi mi accorgevo d'essermi ingannato e dicevo che era inutile stare con la testa sotto in quello sforzo...ma poi ripensavo a quante litigate con stronzi che scrivevano poesie senza aver letto mai niente di altri poeti e a quanto odiavo quel sordo altezzoso dibattersi: "ma scusa se suoni la chitarra elettrica possibile non avere mai voglia di ascoltare un'assolo di Hendrix, di Gilumur, di Frank Zappa?" Un primo criterio di distinzione c'era e l'avevo trovato. Ogni serio poeta leggeva molto. Leggeva gli altri, li pensava spesso come esseri umani e come poeti.

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