12 lug 2007

Levi a Torino: Ossola vs Belpoliti e il bel libro di Cavaglion


Nell’incontro dedicato a Primo Levi e i libri della dignità umana, al Salone del libro di Torino sono seduto stretto vicino ad Andrea Cortellessa che poi cortesemente alzandosi riassume i termini del dibattito ad una giovane giornalista un po’ confusa dal non semplice dibattito, che ha luogo nell’imponente Sala 500 del Lingotto. Parlano Walter Barberis, poi Carlo Ossola, Marco Belpoliti, Enzo Bianchi e Giovanni Conso. Ossola leggendo l’antologia di Levi La ricerca delle radici parte dal noto schema del libro che va "da Giobbe ai Buchi Neri" e parla delle due salvazioni: “il riso” e “il capire” e poi di testi che certificano la “statura dell’uomo”, Marco Polo e Conrad in particolare. Argomenta poi con finezza che alcune letture hanno banalizzato la “banalità del male” di Hanna Ardent facendo di Eichmann quasi un inveramento della cupa idea luterana per cui l’uomo caduto non può salvarsi, il male radicale etc… Il primato va dunque alla senso profondo della pietas leviana. Belpoliti che esordisce dicendo neanche troppo velatamente che quella di Ossola è un’icona da benpensante, sostiene che occorre andare a ben altre radici. Bisogna cioè risalire e ripercorrere le tante contraddizioni di Levi, evidenziando le discontinuità di un percorso tutt’altro che lineare nel suo sviluppo. Per quanto ricordo gli appoggi testuali di Belpoliti mi parvero meno forti di quelli del più fascinoso e canuto Ossola, ma la sua retorica meno azzimata e formale parve riscuotere maggiiori consensi. Il riferimento di Belpoliti non può non rimandare a quella fine discretamente taciuta da Ossola; quella fine che pare scardinare i presupposti della caparbia “conservazione sottrattiva ” che Levi praticò per tutta la vita… Levi continua a porre interrogativi radicali e inquietanti ponendosi come un “campo ad alta tensione simbolica” e tante sono le cose ancora da leggere nello specchio cangiante di quell’opera: si possono operare macro ingrandimenti su un particolare, come fa ottimamente Alberto Cavaglion nel suo ultimo libro, oppure, partendo da una considerazione di “generi letterari” e di intertestualità, provare a tenere insieme socialità e struttura di un testo, come ho tentato di fare in un convegno tenuto a Trento questa primavera di cui presto potrete leggere il testo.

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