14 lug 2007

Paralipomeni di individuazione dell’Io

Oggi, chi voglia afferrare il proprio tempo con il pensiero deve soffermarsi a lungo sul rapporto che intercorre tra ciò che è massimamente comune e ciò che è massimamente singolare: i versi di un poeta, le cui parole abbiano suscitato la nostra approvazione o la nostra stizza “nella misura in cui” differiscono o coincidono con le parole di coloro che hanno preso la parola prima. Ma lui differisce dagli altri poeti, costituendo un ente singolare, proprio e soltanto perché condivide con essi una “natura comune”, ossia la facoltà del linguaggio che possiede un proprio codice. La differenza è garantita da una comunità e da un codice che in qualche modo rappresentano una manifestazione dell’omogeneo. La capacità di articolare suoni significanti, requisito biologico della specie Homo sapiens non può manifestarsi altrimenti che individuandosi in una pluralità di parlanti; ma, all’inverso, tale pluralità di individui sarebbe inconcepibile senza la preliminare partecipazione di ciascuno e di tutti a quella realtà preindividuale che è, per l’appunto, la capacità di articolare suoni significanti. Lungi dall’elidersi, il Comune e il Singolare rimandano l’uno all’altro e tutto sta nel comprendere in che cosa consiste, di preciso, questo reciproco rimando.
Il Comune è forse il risultato di un’astrazione mentale o viceversa è qualcosa di realissimo indipendente dalle nostre rappresentazioni? E poi: il singolo locutore è distinto dai suoi simili perché, accanto alla comune facoltà di linguaggio, fa valere caratteristiche ulteriori, esse sì uniche e irripetibili (per esempio, un desiderio o una passione)? Oppure, al contrario, quel locutore è distinto dai suoi simili già solo perché rappresenta una modulazione peculiare della comune facoltà di linguaggio? L’individuazione avviene in virtù di qualcosa che si addiziona al Comune o ha luogo in seno a quest’ultimo ? Ecco alcuni dei dilemmi che attanagliano, oggi più che mai, la discussione sul principium individuationis del poeta nella società attuale. E’ quasi superfluo osservare la posta in palio, in questa discussione: per pensare adeguatamente la “natura comune” (o preindividuale) da cui discende l’individuo individuato, occorre rinunciare, forse, al principio di identità e a quello del terzo escluso. Metafisica: alla luce del nesso Comune-Singolare, è lecito postulare l’esistenza di una intersoggettività preliminare, anteriore alla stessa formazione di soggetti distinti. La mente umana, a differenza di quanto suggerisce il solipsismo metodologico delle scienze cognitive, è originariamente pubblica o collettiva. La politica: dal modo di intendere il processo di individuazione dipende in larga misura la consistenza del concetto di “moltitudine”. Quest’ultima è una rete di singolarità che, invece di convergere nell’unità posticcia dello Stato, perdurano come tali proprio perché fanno valere sempre di nuovo, nelle forme di vita e nello spaziotempo della produzione sociale, la realtà preindividuale che hanno alle spalle, ossia il Comune da cui derivano.
Gilbert Simondon ha polemizzato con il modo consueto di intendere il principium individuationis, e soprattutto con la sua riduzione a questione circoscritta, priva di vere conseguenze sull’ontologia generale. La riflessione di Simondon sulla “realtà preindividuale”, al pari di ogni movimento del pensiero che determini una situazione inedita, consente di leggere altrimenti certi autori del passato, ovvero crea i propri predecessori. Le tesi di Simondon recensite da Deleuze tentano dunque di mettere a fuoco un rapporto teoretico per decifrare il rapporto Comune-Singolare e, quindi, il modo di essere della moltitudine contemporanea. Delle obiezioni di Bernard Stiegle a proposito, diremo un'altra volta. Intanto, prepariamoci.
Su Simondon, vedi anche L’individuation psychique et collective (Aubier, Paris 1989), e la monografia di Muriel Combes, Simondon. Individu et collectivité (Puf, Paris 1999).

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